venerdì 27 giugno 2014

La giustizia pubblicata



Un bambino al confine incerto dell'adolescenza. Miti assorbiti nell'aria. Irremovibili come gli dei greci. Non piangere, non fare la spia, non tradire. Così Pietro si teneva tutto dentro. Anche perché era cominciato in sordina, piano piano. In un certo senso  gli avevano dato il tempo di abituarsi, la soglia di dolore e sopportazione si era alzata. Uno scherzo, un dispettuccio, la merenda rubata o sporcata, solo in classe davanti alla maestra e al danno evidente. Pietro dritto, il collo teso, occhi lucidi. A lasciarlo di stucco era la sensazione di essere in torto. Era lui lo sbagliato. A casa gli occhi bassi e il comportamento obliquo non sfuggirono alle maglie dell'affetto. “Pietro,qualcosa non va?”. “Niente mamma”.,il copione e’ sempre lo stesso, no? I perseguitati permettono che accada e tengono tormenti e aguzzini al calduccio della paura. Al massimo si esautorano cantando.  Ma le botte forti forti, quelle non le puoi nascondere. I lividi fuori denunciano più di quelli interni. 
Il preside sbatte’ gli occhi e nego’. “Mai nella mia scuola il bullismo”. Pietro ’cadde’ a scuola e dintorni ancora e ancora. I prepotenti allargarono fantasia e ferocia. Le proteste vennero respinte nell’incredulità. Pietro resisteva ma Angela era sua madre. Le foto del ragazzo sciorinate su Facebook, la scuola in bella mostra e le lettere inevase a puntare il dito. 
Di colpo Pietro e i suoi dolori diventarono veri. A vederli su Facebook quei tormenti acquistarono diritto all’ascolto. I giorni negati si trasformarono in realta’ elettroniche. 
Preside e insegnanti trasecolarono di indignazione. Esposti alla vetrina mediatica, con le scope della sollecitudine cancellarono inerzie e cecità passate. “Povero Pietro, che brutti compagni! Perché non li hai denunciati a noi? Ora subito un post dove racconti come li abbiamo rimessi in riga, mi raccomando”.  
Ma Pietro si superò e il suo trauma lo espose ancora più sulla pubblica piazza virtuale. A lui il primo premio del talent show. Il suo rap di periferia, unico filo in versi e musica verso la salvezza, entusiasmo’ carnefici e vittime, protagonisti e spettatori. “Bravo Pietro, che artista”, dissero senza troppo sottilizzare sul costo della nascita. Cosi la vita si avvolse più stretta nello spettacolo e andò avanti.  

martedì 24 giugno 2014

Meditazioni

La piazza piena di barboni, come al solito. La mattina presto vengono i volontari della comunità vicina a offrire la colazione. Rapporto quasi quotidiano, quindi. Gli homeless vivono qui da anni, sono sempre gli stessi. Qualcuno va, qualcuno viene, ma sostanzialmente sono loro.  Litigano, parlano, intonano Pink  Floyd, Rolling Stones o altre canzoni non prive di cultura. Non li senti biascicare l'ultimo San remo, per dire. Piuttosto si intendono in un misto di italiano, portoghese, slavo non identificato, francese. Strascichi di altri tempi. 
La donna si avvicina. Ha familiarità. "Tutto bene, gente?".
 Bene, bene all'unanimità
'"E Roberto, dov'è oggi? Non è venuto?".
 "Ma no, oggi e' martedì, Roberto ha meditazione".
... 

domenica 22 giugno 2014

La frontiera del virtuale



I tre sono amici per la pelle. Inseparabili. Sempre in contatto. Sempre a scambiare opinioni, giocare partite di basket o sfide alla play station. E la birretta del venerdì. Irrinunciabile, un rito da onorare.
Sms: “allora, ci vediamo stasera?”. “Certo. Alle 7?”. “Ok”. “Ok”. 
Le giornate trascorrono così, con scambi di sms, qualche whatsapp, magari corredato di foto  e video, se proprio ne vale la pena. In (si spera temporanea) mancanza di fidanzate, i tre snocciolano giornate tra loro. E si danno continuamente appuntamenti spot per una partitella al gioco del momento. 
Ma il clou viene la sera del venerdì. Quando finalmente possono scambiare due chiacchiere ’vere’. Approfondire i pensieri. Denudare smarrimenti, successi e futuri. 
L'appuntamento e’ invariabilmente alle 7. Essere in ritardo non è contemplato. Fa proprio cafone. 
Così eccoli, i tre. Birra alla spina. Chips. Nachos. O quant'altro. Alle sette, ciascuno al suo posto preferito, di solito sempre lo stesso, nella stessa città, i tre accendono Skype e si fanno una bella chiacchierata. Alzano le birre allo schermo. 
Una nuova frontiera del virtuale e’ stata varcata. 

venerdì 20 giugno 2014

Festa di Costa Rica

E così, alla fine, ha vinto il Costa Rica. Lascio da parte le polemiche sul gioco della nostra nazionale, che sono materia per più addetti di me. E non ci vuole molto. I miei amici ticos hanno strafesteggiato, qui c'è la foto che mi ha mandato Daniela da Nicoya. Nei suoi messaggi continuava a scusarsi, come se fosse preoccupata di ferire i miei sentimenti italiani per la loro vittoria. Io le chiedevo foto e video e lei lo ha fatto, ma in ognuno c'era la preoccupazione di non offendermi. Figuriamoci.
 Comunque, penso che con lo stipendio di uno dei nostri giocatori, il Costarica ci paga tutta la squadra, trasferte comprese.
 Nel girone dell'Italia vince il nuovo mondo, l'entusiasmo e la grinta hanno la meglio su  soldi e aria di sufficienza. Non so come andrà a finire, ovviamente tutto sommato spero che l'Italia vada avanti, però la parabola ci sta tutta. 

mercoledì 18 giugno 2014

Diversamente maturi

Hai visto, hanno dato il gobbo di Notre Dame alla maturità !
Come...???
Quasimodo, il gobbo di Notre Dame
Ehm, parliamo di Salvatore Quasimodo... E' un poeta del Novecento...
Davvero? Non è quello di Esmeralda?
No, direi di no. Direi che è il poeta italiano
Ah, mai sentito...
Ma, perdonami, quando parli del gobbo di Notre Dame, parli di Victor Hugo o del film Disney
Del film... Sbagliato, vero? 

Ma io te boccio 

lunedì 16 giugno 2014

Il calcio in Costa Rica


Alcuni lo sanno già, ho passato tre mesi in Costa Rica. Ero li quando sono stati fatti i sorteggi per i mondiali e ho assistito all’incomprensibile (per me) pathos con il quale e’ stata seguita la formazione dei gironi. Ciascun futuro match e’ stato dibattuto minuziosamente, pregi e difetti di squadre ancora tutte da creare, vittorie e sconfitte già pregustate fino alla fine. 
Se gli italiani sono appassionati di calcio, in Costarica sono completamente pazzi. Le tv sono perennemente sintonizzate su partite di ogni genere. I campionati di tutto il mondo vanno in scena senza soluzione di continuità.  Sbirciando nelle case dalla strada si vedono gli schermi puntati su campi da pallone. Il grande schermo del parco di Barra Honda, dove ho vissuto, era sempre su partite, i canali specializzati sono molteplici. Ho visto, di sfuggita, per carità, più del campionato italiano li’ che a Roma. E i costaricensi seguono ogni match con identico entusiasmo. Più i maschi, ma anche le ragazze che si lanciano in un tifo American style con balletti e cori. 
Calcio, calcio, calcio, quindi. Praticato anche. In un paese dove l'offerta di divertimenti e’ assai parca, il pallone e’ elemento molto aggregante. Giocano tutti, maschi, femmini, bambini anche piccolissimi. Ne ho conosciuti alcuni, non più di sei anni, che sono veri fenomeni. Non importa in quanti si e’, si gioca comunque. Nessuno se la prende per gli errori clamorosi, l'importante e’ davvero partecipare. De coubertin sarebbe fiero. D'altra parte, e' tipico del Costa Rica essere politicamente corretti fino alla noia... 
Mediamente c'è un campo da calcio ogni tre chilometri, e sono tutti tenuti perfettamente. Verdissimi, falciati sempre di fresco. 
A me è toccato varie volte nella mia permanenza a Barra Honda di essere di corvée per tagliare l'erba, che peraltro cresce con la vertiginosa velocità propria di un clima equatoriale. 
Il venerdì, il sabato e la domenica e’ ’obbligatorio’ disputare personalmente almeno una partita. Si organizzano mini tornei tra i villaggi limitrofi. E intorno si arma tutto l’ambaradan di bancarelle, grigliate, birre. La partita, insomma, e’ l'evento sociale per eccellenza.
Immagino quindi il febbrone calcistico che avrà colto la nazione intera! Sarà completamente avvolta in rosso blu e bianco, i colori nazionali. Si vedranno le partite tutti insieme, grandi feste di paese e di città.  

venerdì 13 giugno 2014

Deserto

Soffocante. Polveroso. Ostile. Metodico. Il caldo non si concedeva riposo. Lui arrancava da solo. Alla ricerca di un goccio d'acqua. Per distrarsi ricordava quando sul pianeta pioveva. Aveva in mente i fiori. Immagini sfocate di colori che non esistevano più. Giallo, marrone, grigio, nero. Questo era diventata la terra dopo la grande esplosione. Era bambino lui. Così piccolo da potersi riparare dentro una grotta. Da riuscire ad adattarsi. Allattato con il sangue degli animali morti prima, poi dei suoi simili. Nemmeno a dire che pochissimi della sua specie erano sopravvissuti. E non ricordava da quanto non incontrava un suo simile. Talvolta da lontano avvistava quei nuovi esseri. Rettiloni. Se erano in controluce potevano apparire quasi umani. Ma poi no, le squame, gli occhi sporgenti, quell’andatura bizzarra, un po' a quattro zampe un po' eretta. La coda corta. Strani. Si teneva alla larga, ad ogni buon conto. Meglio viaggiare da soli. Ma l'acqua era un tormento. E’ pur vero che lui, di acqua in senso proprio, ne aveva vista poca assai in tutta la sua vita. Diciamo ’liquidi’ di ogni specie. Anche una spina di cactus può dare sollievo e spingere la vita un po' più avanti. 
Era stremato. Niente miraggi, no. Solo la sensazione che le gocce preziose fossero nascoste li vicino e lo guardassero dispettose. Dietro una roccia. Ad certo punto ne fu certo. L'odore. Il profumo dell'acqua. E, si’, eccola. Gialla e melmosa. Forse nemmeno acqua. Meglio non sapere. Chissenefrega, sospiro’ lui. Bevve. Le sue squame  si serrarono nella memoria di un brivido di piacere. La coda spazzo’ i cespugli in segno di gratitudine. 

giovedì 12 giugno 2014

Sciampista

“Cara, credo proprio che se continui così, nella vita potrai solo fare la sciampista”. 
“Papa', che idea fantastica”. 
“Ti facevo più ambiziosa... Hai idea di cosa significhi passare tutto il giorno in un parrucchiere?”.
“Parrucchiere? Che c'entra il parrucchiere? Magari ci posso andare un paio di volte a settimana per essere sempre in ordine, come già faccio adesso”.
“Be’, se farai la sciampista dal parrucchiere ci lavorerai”. 
“Perché? Le bottiglie di champagne le testano dal parrucchiere? Mai sentito.... Ah, la sciampista non e’ la sommelier dello champagne? Lava i capelli?... Papa’, ma come ti permetti???”!

Sequestro infinito



Sabato mattina. Scivolavo diligentemente verso piazza Mastai quando puff.. Il mio scooter entra in sciopero. A piazza Barberini, nel cuore della ztl. Dettaglio non di poco rilievo, come si vedrà in seguito. Si spegne e non riparte. Morto. Ormai temprata dalla vita della giungla, urbana e pluviale, prendo un taxi, torno a casa, agguanto le chiavi della macchina e, solerte, mi presento sul posto di lavoro. Inutile dire che il sistema sanitario meccanico nei week end e’ a tenuta stagna. 
“Le do il numero del carro attrezzi, così lo fa portare da noi”, aiuta l’officina Velosud con la premura di chi ha pronto il pic nic sulla sabbia. 
“Signora, se ne parla lunedì, ovviamente -fa spallucce il suddetto carro attrezzi- e poi, che sfortuna (per lei), proprio nella ztl. Noi non possiamo entrare prima delle 18. Quindi, vediamoci lunedì alle 18, davanti al cinema”. 
Ho scelta? mi chiedo. Abbozzo. 
“Allora il carro attrezzi le porterà il mio scooter lunedì pomeriggio, verso le 19”. “Alle 19 siamo chiusi. Dovrà portarlo il giorno dopo”. 
Scatta il multitasking e costruisco mentalmente un complicato sistema di ’insegui il carro attrezzi, fai scaricare il motorino davanti al l'officina, prendi le chiavi, il giorno dopo vai presto la mattina in macchina, dai le chiavi all’officina e vai al lavoro’. Tutto, ovviamente, nel comodo traffico romano. Rassegnazione. 
Torrido lunedì pomeriggio. Sul luogo dell'appuntamento arriva Rino con il suo carro attrezzi, carica il malato e va. Assicura: “abbiamo parlato noi con l'officina, ci aspettano, lo portiamo adesso, non c'è bisogno che lei venga”. 
Me ne vado quindi per i fatti miei con il mio colpo di fortuna. 
Martedì. Telefono al l'officina. Gentilissimi, per carità, ma del mio scooter non v’e’ traccia. “Chi l'ha preso, signora? Noi abbiamo quattro compagnie che fanno questo servizio”. Rintracciato il ’mezzo’ che aveva caricato lo scooter, ascolto trasecolata la seguente storia. 
Il carro attrezzi e’ andato (dice) all’officina, ma loro avevano già chiuso. Quindi, hanno portato la moto a dormire a cosa loro sulla via Prenestina. La mattina dopo ““alle 8.40 eravamo a via dei gracchi, davanti a Velosud. Poi alle 9 siamo andati via”. “Ma l'officina apre alle 9”. “Eh, si, signo’, ma noi avevamo da fare”.
Ergo, la professionalità di questo sedicente Salvamoto (senza un filo di ironia) lo induce a portare i motorini alle officine, quando queste sono chiuse e ad andarsene intorno all’orario di apertura. 
Una filosofia sulla quale ritengo valga la pena di meditare... Tanto più che di tutte queste vicissitudini sono stata tenuta all'oscuro, finché non ho telefonato io. “Signo’, vabbe’ ho sbagliato a non avvertirla... Mandi una mail di protesta alla nostra amministrazione. Le rimborsiamo anche i 40 euro che ha speso per il trasporto”, assicura Rino. Così faccio, ma ne ricavo una ulteriore telefonata. “Abbiamo consegnato prima di pranzo (martedì) non dopo”. “Velosud dice di no”. “Adesso le mando la copia della consegna”. Naturalmente questa bolla non arrivo’ mai... Inutile dire che i 40 euro scompaiono dalla conversazione. 
E veniamo al capitolo Velosud. 
“Signora, del suo motorino non c'è traccia. Richiami tra un po’”. “Non ci penso proprio. Mi assicuri che lo scooter non e’ li. Sono pronta anche a chiamare i carabinieri. Voglio sapere", minaccio. "Aspetti. Noi siamo quelli della mattina, adesso le passo chi è qui tutto il giorno”. La signora non è cortese e nemmeno efficiente. Scartabella. Trovo il mio kymko e mi chiede se ho un appuntamento con il meccanico. “Perché noi lavoriamo solo su appuntamento”. “Ma il mio scooter e” arrivato con il carro attrezzi, ho telefonato sabato, mi avete dato questo numero, sapevate che sarebbe arrivato...”. “Lavoriamo solo su appuntamento”, si impunta.”il suo mezzo potrà essere esaminato venerdì”. Cerco di mercanteggiare. Concede un “forse lo guardiamo prima, le faremo sapere”.
Giovedì. Tutto tace. Siamo ancora in attesa di diagnosi. temo che il (segue) sia d'obbligo. 

martedì 10 giugno 2014

Gli abitanti di Berderry


Tra polveri sottili e meno sottili, sono nate le vicende di Martha Rimmel Scravin e compagni. Cito Martha perché mi e’ simpatica a pelle. E' una killer. 
Quando Stefano mi ha presentato “Gli abitanti di Berderry”   mi sono subito entusiasmata. I personaggi corrono veloci nei vestiti giusti. Parlano lingue sorprendenti ma comprensibili. Le gocce di veleno cadono belle secche, non perdonano.
 Stefano Romita e' il mio ex marito. Padre di mia figlia. Ricordo benissimo quando ha scritto questa storia. Tra le macerie. In quei mesi infatti stavamo ristrutturando l’appartamento. Lui era in una fase di passaggio tra un lavoro e un altro. Così sovrintendeva intonaci e parquet e nel frattempo intrecciava vite immaginarie con fili elettrici e cavi tv. Ecco come e’ nato Berderry, “il comune con il maggior reddito pro capite di tutta l'Inghilterra”. Residenza estiva nientedimenoche di Mick Jagger (che però nella vita reale non lo sa. Ancora. Ma lo saprà dopo il successo strepitoso di questo libro e dopo che Flaminia, nostra figlia, lo avrà tradotto in inglese). Ma la personalità del villaggio non e’ legata alla musica, bensì all’inusuale convivenza virtuosa di petrolio-calcio-cavalli. L'idea contromano di questo romanzo  e’ che ogni personaggio  e ogni piccola storia nella storia possono essere spostati nella fila, incastrati a piacere, quasi che ciascuno possa abitare a Berderry a modo suo. Esci e incontri questo o quello non necessariamente nello stesso ordine, non necessariamente sempre tutti. 
Insomma, Stefano porta i lettori a casa dei suoi personaggi. Verrebbe da dire ’dei suoi amici’. Li presenta, lascia aperto il rapporto. Cosi’, personalmente mi ha colpito la dodicenne Amy che vuole diventare una carpa di tutto rispetto, con tanto di baffi e tana. Martha Rimmel Scravin, di lei ho già accennato, invece “uccideva per professione usando solo armi da taglio”. E poi le piccole ironie come la clinica psichiatrica ’Noveau tête’. Il setter Blu (l'abbiamo avuta davvero una Blu, spinona molto amata e sempre rimpianta) dice la sua e racconta il punto di vista canino della scoperta di un cadavere. 
La trama, no, non la svelo. Il sorriso finale, sappiatelo,  e’ pieno di consapevolezza. 

P.s. Stefano ha anche illustrato copertina e contro copertina. E dire che quando stavamo insieme, si accaniva a disegnare sempre lo stesso -orrido e elaboratissimo- profilo di un tizio a metà tra una caricatura di Scrooge e un faraone egiziano... 

giovedì 5 giugno 2014

Ambasciatori del mondo nuovo



La piccola repubblica incantata non l'aveva scelta per caso. Non era stato un colpo di testa e nemmeno un colpo di coda. Quello sfizio terrestre lontano lontano da casa l'aveva programmato con cura, mappamondo alla mano e  aveva costruito il puzzle passo passo. Fare l'ambasciatore non è un gioco da ragazzi, bisogna avere la stoffa. E a volte il vestito italiano non e’ proprio comodo ne’ di lusso. Perché la diplomazia, è vero, aggiusta e illanguidisce le questioni, ma può penetrare fino all'osso senza parere. Il minuetto impercettibile delle sopracciglia, una spalla appena spostata, il mento significa, i muscoli del viso sottilissimi dicono assai a chi capisce la lingua. E possono raccontare  storie diverse dalle parole. 
Così a quelle riunioni scadenzate di colleghi europei non andava volentieri. Parlare di Europa da quella angolazione remota non sembrava cosi’ utile. Barbari, li trovava. Mai l'ironia a portata di mano. Culture  tutto sommato incapaci di alzare lo sguardo oltre la moneta, compiaciute senza sapere di cosa parlare. A dirla tutta, poi, c'era la questione della situazione politica. Difficile trovare bacchette capaci di trasformare un presidente del consiglio che incarta nelle barzellette conti nel baratro e paralisi riformatrici. Ore urticanti a sentire la spocchia declamare di democrazia e onestà, di maturità e consapevolezza. In tasca parole povere, in testa un cappello spuntato per principio. 
E poi, il ticchettare delle urne. 25 maggio 2014. In Italia i voti cadevano virtuosi dalla parte del futuro, si ammonticchiavano contro il qualunquismo e gli urli, suggerivano programmi e prospettive sgretolando la violenza rozza. Il nuovo leader spopolava, dentro e fuori dai seggi. Francia e Inghilterra facevano i conti invece con idee senza idee. Le schede disegnavano paesi vuoti, pronti a far progetti per il passato, le mani incrociate sui borsellini e sulle anime. Orchi sgangherati in tv.
Una nuova riunione porto’ il giusto equilibrio. Le sopracciglia fecero il loro lavoro di sopracciglia per una volta. I menti furono impeccabili. Più provate le spalle. Per non parlare delle parole che si nascondevano dietro il loro significato letterale. Le bandiere persero di vivacità. Il tricolore scoppio’ a ridere.