sabato 31 maggio 2014

The candy crush saga



A Vittorio non avevo mai dato un soldo. Nel senso che nel quartiere girava e girava, ma non mi sembrava concludesse un granché. La mamma, poveretta, l'aveva fatto studiare. Solita storia, piccola famiglia, piccolo reddito, grande abnegazione. Tutto per i figli. Anzi, per il figlio. Così, insegnamento alla scuola media al mattino, ripetizioni il pomeriggio. Qualche lavoretto estivo come baby sitter, dog sitter, accudimento di vario genere. Vittorio avanti e sopra a ogni cosa e lui a girovagare nel quartiere. Per carità, laureato bene. Ingegneria. Ma, insomma, questo posto fisso, nemmeno a parlarne. Segni dei tempi, certamente. Ma insomma... Giornate intere al bar a trafficare con il lap top. Serate incantato dai giochi di carte degli anziani, dai flipper, dal poker online. Mai che si impegnasse in prima persona però, Vittorio. Uno “scansatutto”, dicevano in giro di lui. 
Così, il giorno che entro’ in ufficio, alzai mentalmente gli occhi al cielo. Jeans e maglietta. Esitante. Lo potevo sentire zigzagare con la mente. Sbuffai dietro il sorriso. 
“Vorrei comprare un appartamento per mia mamma”, si tuffo’ Vittorio. 
“Bene... Si... Hai già un’idea della grandezza?”. 
“Be’, no però deve essere grande, arioso, spazioso. Un posto dove mia mamma possa stare bene e pensare bene”. 
“Mmmm ci sarebbe un 90 metri quadri qui dietro, all’Alberone. E’ un terzo piano. Ha anche un balconi no”.
“Grazie, no. Pensavo a qualcosa di più grande, magari un po' più in centro”. 
Trasecolai tra me e me. Una eredità? Qualche zia senza eredi da chissà dove? 
“Vediamo... 120 mq a San giovanni? Ha anche un terrazzino, sporgendosi un po' si vede anche la cupola della basilica. Quasi non ci sono lavori da fare”.
“No, mi scusi... Pensavo al centro vero. Chesso’, piazza Navona? O forse piazza di Spagna... Alla mamma e’ sempre tanto piaciuta. Ricordo che mi ci portava e mi suggeriva di immaginare di abitare li, a due passi dalla scalinata. Con quella bella vista...”.
Non riuscii a trattenermi dal ridergli in faccia. Piazza di Spagna? Piazza Navona? Ma questo non sta bene. E per gioco decisi di rilanciare. Certo, personalmente non avevo appartamenti di quel genere. Davanti a Vittorio, un po' sprezzante, telefonai al primo agente di Roma. 
“Che fortuna, hanno proprio un attico su Trinità dei monti.... Duecento metri quadrati... Terrazzo... Finestre panoramiche... Dieci milioni di euro”, sorrisi soave.
“Ecco. Possiamo vederlo? Magari oggi stesso, prima che lo compri qualcuno?”, si emoziono’ Vittorio, di colpo uscito dal torpore. 
Lo guardai. In silenzio. In attesa. 
“Si’, perché ultimamente ho guadagnato un po' di soldi. Ho progettato un giochetto per il web... Una sciocchezza che però ha avuto successo... Si chiama Candy Crush saga... Ne ha mai sentito parlare?”. 

mercoledì 28 maggio 2014

Alto tradimento



Alison e’ una ispanoamericana ebrea, identità difficile della quale era fieramente complessata. Le sue estati le passava a Cortina  a convincere con modi e comportamento di non essere una baby sitter, ma una delle ’signore’. Nel frattempo, per sentirsi meglio sputava veleni in confezione maxi sull'Italia, paese inadeguato e incivile. Atteggiamento, questo, che le valse impieghi di poco livello ma di molto prestigio in più di una istituzione. “Senza di me quel dipartimento non potrebbe andare avanti”, sentenziava davanti al suo mojito. Alle amiche locali spiegava sagace il suo ruolo centrale nella politica italiana e fustigava diligente costumi che lei stessa poi indossava con indifferenza. “Vado a letto con questo o quel senatore per avere un posto? Che schifo, e’ disgustoso, e’ questo malcostume che avete da voi... Utilizzo spudoratamente il fatto di appartenere a una minoranza etnica per raggiungere i miei obiettivi? Eh, beh, ma io ’sono’ minoranza etnica”. E pazienza se in Italia questo non rileva più di tanto. 
Così, madame coltivo´ l’onnipotenza e scalo` a bracciate.
La frode contro chi si fida fa scuola dai tempi di Dante. Allegramente Alison se ne frego’ della morale letteraria e circuì l'amica, altrettanto allegramente incurante di Machiavelli e dintorni.  
L'incontro tra le due era stato scintillante. “L'Italia fa schifo, non trovi”, discorreva Alison. “Non vivere in Italia come se fossi a New York. Non vedi che sei antipatica a tutti?”, prendeva fuoco Federica. Una apparente presa di consapevolezza e autocritica sigillarono la tregua che si trasformò in frequentazione assidua.
Di fronte all’aperitivo, le due analizzavano politica, amori e costumi. Si facevano confidenze e svelavano segreti. Uomini, figli, carriere. 
Ecco, carriere. L’una ingoiava pezzi di vetro a chilate. L'altra se ne stava appollaiata ad ascoltare. Comprensiva. Attenta. Tante domande. Qualche suggerimento. Puntuale per chi è dell'ambiente. Accompagnava il calvario con ottima solerzia. Settimana dopo settimana, mese dopo mese, Alison beveva Martini e puntate di sconfitta. Federica scendeva verso gli inferi con passo da maratoneta. Ogni sua mossa per risalire la china veniva bloccata, ogni iniziativa per trovare rifugio o confronto altrove era prevista e neutralizzata. Su colpi d'ala, scatti di fantasia, strategie, tentativi di divincolarsi passava ogni volta un potente diserbante. Quasi una magia. Quasi ci fosse una microspia. O una spia. “Non e’ possibile”, penso’, scandalizzata di se’. 
E poi arrivo’ l'epilogo di quella guerra velleitaria. Centomila a zero per il nemico, of course. 
“Ci vediamo stasera?”, le telefonò Alison. 
“Certamente si”. Ma lei non aveva voglia di parlare della giornata. Voleva provare il guanto di paraffina. Parlarono del più e del meno. Stranamente asettiche rispetto al principale argomento di conversazione degli ultimi mesi. Alison non  chiese nulla. E spari’, portando con se’ lo scacco matto. 

lunedì 26 maggio 2014

Regalo di compleanno



“Auguri, auguri, buon compleanno!!!”. I brindisi, i baci, gli abbracci si susseguivano. Le carte dei regali scintillavano. Giovanni e Francesca a passeggio tra gli ospiti. Soddisfatti. Si lanciavano occhiate complici e felici da un lato all'altro della piccola enoteca che avevano riservato. Doppia allegria, quest'anno. I trenta di lei, i quarantuno di lui. Era passato un periodo difficile. Ora di celebrare. Ora di cambiare pagina. 
La selezione degli amici era stata implacabile. Pochi, pochissimi. Scelti, sceltissimi. Davvero una piccola sintesi della vita adulta di entrambi. Il cuore e la storia. Così come la decisione di festeggiare oltre il giardino di casa per offrire una cornice insolita e godersi ogni minuto senza l'andirivieni con la cucina. Complice il clima finalmente caldo, che invitava a togliersi giacche e golfini. 
La festa perfetta. La coppia perfetta. Gli amici perfetti. 
Si erano trattenuti tutti a lungo. 
Al momento di saldare i conti, i conti però non tornano. Giovanni impallidisce. La busta bianca accuratamente infilata nel taschino e' ancora li. Vuota però. Niente banconote. Le ipotesi si accalcano furiosamente. Scivolate da una maglia nella busta? Ma la maglia non c'è. Un movimento brusco? Avrebbe fatto cadere baracca e burattini, denaro e involucro. 
La verità no, non la vogliono vedere. 
Litigano Francesca e Giovanni. “Dovevi stare attento, dovevi chiudere il bottone della tasca. Sorvegliare la giacca”. “Mai. Ero tra amici. Non mi convincerai mai a vigilare tra amici”. 
lo sguardo di Giovanni si fa opaco. Tra se’ vede il film di una mano che si insinua furtiva, apre, saccheggia, richiude e ripone. Dentro al cuore una palla di cannone che non si può sciogliere più. “Chi tra di loro... Con che occhi li abbraccerò uno ad uno  d'ora in poi?”. 

venerdì 16 maggio 2014

Niente alito alle polemiche



Giugno 2016. Roma in festa. Almeno in parte. Gran parte. Quel 70 per cento che aveva votato il nuovo sindaco. 70 per cento? A Roma, la città dei cinici e disincantati? Evento epocale che manco uno scudetto. E quindi, basta  Pci-Ds-PDS-Pd e altre eventuali mutazioni genetiche delle stesse speranze disattese. Adesso anche nella capitale ecco la comicità al potere, il Nuovo. Il Rivoluzionario. Finalmente una guida fresca, che le buche le ripara in volata e le nomine le fa ’a prescindere’. 
E così il discorso di investitura era atteso assai. 
“Cari concittadini.... Va bene, non sono di Roma, ma da oggi anche io sono di Roma.... Da oggi anche qui si #cambiamusica... Sono geniale, diventerà il nostro hashtag ... Somiglia al #cambiaverso di Renzi? Figuriamoci... I miei predecessori ne hanno fatte più di Carlo e Franca, ma ora basta... Ah... Pensavo si riferisse ai Ciampi... Si dice ’più di Carlo in Francia’? ... Okkei, banalita’.... Il discorso politico e’ che adesso si butta tutto il passato... E la nostra guida  non darà alito alle polemiche ... Adito? Adito??? Insomma perché mi interrompete sempre? Non ho mica bisogno di una baby sister, io!!! Come prima cosa, cari romani, vi annuncio che farò asfaltare quei giardinetti ovali che avete lasciato incolti, proprio dietro il Colosseo.  Sono così rovinati che sembrano li da millenni! No, no adesso metteremo lampioni, panchine, qualche chiosco. Altro che piste ciclabili e Fori imperiali senza macchine”. 
Il Nuovo non sentiva però applausi. I suoi supporter, accorsi a festeggiare, ridacchiavano qua e là. A parte il manipolo di pretoriani che da sempre lo circondava, gli scriveva i discorsi, lo teneva esposto ma lontano dalle spine della vita pubblica, gli altri sembravano aspettare. Ma cosa? Le sue parole gli sembravano perfette. Del programma di governo non aveva parlato mai in campagna elettorale e non avrebbe cominciato certo adesso. Nemmeno ce l'aveva, lui, un programma elettorale. Per vincere gli era bastato inveire, insultare, qualche battuta riciclata, una spruzzata di discorsi sentiti sull’autobus (quando ancora lo prendeva, quando non era un politico). Adesso ce l'aveva fatta. Lui era il Nuovo. Già questo cambiava le cose in se'. Dovevano capirlo, questi romani. 
Riprese. Le telecamere ammiccavano, non poteva deluderle.
“E a proposito di illuminazione, vi annuncio che presto Roma sarà abbagliante: metteremo luci al neon ovunque. Basta con quel giallo soffuso. C'è un mio amico che ne ha una scorta enorme, di neon. Adesso  produce lampade a basso consumo, dice che vanno di moda in Europa, ma che neon come quello che mi (ci) vuole vendere non se ne fa più. Dite che i Led sono il futuro? Be' io non sono il futuro, io sono il Nuovo”.
Ma insomma, la platea non si scaldava. Ondeggiava, frusciava, stormiva. Ma fondamentalmente il  Nuovo sentiva di arrancare. L'impasto non lievitava, Roma lo schiacciava con i suoi anni indipendenti. Il Nuovo decise che se non poteva scaldare, avrebbe infiammato. 
“Cari romani, mai abbiamo parlato finora di cose concrete, ma eccone qui una: so bene che abbiamo un problema enorme di spazzatura. Io lo risolverò. Subito. Con un bel provvedimento 'a doc'. Lo capite l'inglese, no? Significa 'fatto apposta' Un grande sforzo collettivo per abbattere questo soprapeso della città. Altro che discariche e cialtronate come la raccolta differenziata. Soluzioni di lungo termine. Io indico per domani lo “spazzatura Day”?  Tutti insieme alle ore 19 incendieremo i nostri rifiuti, tutti in strada, svuoteremo i cassonetti e le pattumiere e inceneriremo tutto”. 
Così fu. Il profeta comico ebbe ragione ancora una volta. Basto' un alito, questa volta si', di vento.  Il fuoco corse entusiasta per le vie e i vicoli di Roma, villa Borghese e villa Ada restarono indifese, i sette colli avvamparono. “Uno spettacolo impressionante, davvero”, commento’ il Nuovo un po' impressionato e lievemente stizzito: “l'ha già fatto Nerone? Ah, e' vero... Lui cantava. Buona idea. Facciamolo anche noi,  un bel karaoke sul Campidoglio... ". 

Incidenti



Non riusciva a credere al suo corpo. La testa rintronava, sul sedere aveva sentito uno schiocco violento, un muscolo rotto nell'impatto. Forse. Subito dopo si era rialzata, spinta dalla rabbia e aveva combattuto, ma poi si era afflosciata di nuovo per terra. Il pavimento freddo e la vergogna. E la paura. Di essersi fatta male davvero. Di averla scampata bella. Di quello che era successo.  “Santo cielo, abito in centro, ho una laurea, una carriera, una famiglia alto borghese...certo, lui viene dalla piccolissima borghesia, gente che in testa sbatte mestoli, non idee o principi. Eppero’...”. 
“Da, alzati che non ti sei fatta niente, smettila con questa manfrina”.
Lui torreggia arrogante. Nemmeno un briciolo di vergogna, lui. Come se fosse una scena ripetuta altre volte, con altre protagoniste. Vedendola strisciare a terra, incapace di rialzarsi, ecco il dubbio. “Ti aiuto, ti metto sul letto?”, propone. Dal suo metro e novanta, la voce arriva fredda, non riesce a rompere il ghiaccio che si e’ formato su di lei. “Vattene”. Lui esce, va. Non sente altro bisogno di prodigarsi.

“Mamma, come va”. “Tutto bene, perché?”. “Mi ha detto lui che ti sei fatta male. Non so, che ti ha spinto?”. “Be’, si’, avrei preferito che tu non lo sapessi, comunque si’, sono a terra, non riesco a muovermi, mi dispiace”. “Mi dispiace??? Ma che è successo?". “Una lite... Mi ha detto di uscire dalla stanza, io ho detto di no e lui mi ha preso di peso e sbattuto a terra in corridoio”. “Vuoi che venga?". “No, grazie, arriva una mia amica. Lui le sta dando le sue chiavi di casa, mi soccorrerà. Tu resta a scuola”. 

“Denuncialo. E’ mio amico da vent'anni, ma devi denunciarlo”. “No, ha una figlia adolescente, come potrei? Lo rovinerei. Ha già lanciato un casco contro un collega. Ha già ’quella’ fama...”. 

Nel letto, pesta di dolore, lei riflette. “Questo e’ il mio compagno,  ha lasciato la sua famiglia quando mi ha incontrato, che è successo? Perché ha fatto questo? Perché mi sono vergognata? Perché lui non si vergogna? Mi ha solo detto ’sei così leggera, sei volata’”. 

Sono partiti insieme. Lui sempre un passo avanti. Lei ancora zoppicante, trascina da sola valigia e pensieri doloranti. In compenso, lui le vieta di postare foto e commenti. “Ho detto a mia moglie che sono partito da solo”. “Ma vi siete lasciati da due anni...”. “Be'? Tu non postare. Sei infantile a insistere. Io lo faccio? Be’, si’, io si”.

L’acqua scorre sulla pelle abbronzata. Visto da sotto, il sole squillante scherza con le onde, la barca a pochi metri. “Signora, e’ stata via tanto, cominciavo a preoccuparmi! E suo marito dov’e’?”. “Ha deciso di tornare via terra, ha mal di mare. Non è mio marito”. Ma la giungla e’ tutta uguale. Soprattutto con gli spessi occhiali in frantumi, con quei mal di pancia incontrollabili, ginocchia e caviglie deboli, tendenza a perdere liquidi. E senza  cellulare poi... Un incidente, che tragedia, tre giorni a cercarlo tra le mangrovie per poi ritrovarlo soffocato nel sudore. Tre giorni di vacanza un poco rovinati. “Come lo rimandiamo a casa suo marito?”. “Non saprei, non era mio marito”. 


venerdì 9 maggio 2014

Una delle due

Siamo sempre state in due. Due. Insieme giorno e notte. Nei primi giochi, a scuola inseparabili, il primo lavoro. Qualche divergenza, talvolta, non lo nascondo. Magari a lei piaceva la gonna viola, che io detestavo. Odiavo per esempio quando si faceva la coda di cavallo. A me piaceva la pallavolo. A lei quello stupido Ping pong. Che noia le interminabili partite «Ping...pong... Ping... Pong...». Insopportabile. Ma nel complesso, la nostra infanzia e' stata piacevole. La mamma voleva bene a tutte e due, mai una preferenza, mai un distinguo. E non soffrire mai di solitudine, non lo nascondo, e' piuttosto un sollievo. 
Poi, lui. Inevitabile, no? Perfino banale. Un ragazzo arriva nella tua vita e l'armonia si spezza. Doveva proprio piacere a tutte e due? Doveva insinuarsi tra noi? Be', sia come sia, e' successo. Mai siamo state così litigiose, mai tanti giorni senza rivolgersi parola. 
E lui? Niente, sembrava non accorgersi di niente. Carino, affettuoso, galante con entrambe. Come la mamma. Ma non con gli stessi effetti. Dalla mamma era gratificante ricevere le stesse attenzioni, sentirsi alla pari. Ma lui... Lui doveva scegliere. E invece, niente. La cosa si stava protraendo da troppo tempo. In me la rabbia montava e la gelosia anche. Dovevo fare qualcosa. Anche di estremo. 
Così una sera, eravamo in casa da sole, decisi di ucciderla. Non c'era ahimè altro mezzo per liberarmene. Non si sarebbe mai tolta dalla mia strada spontaneamente. 
Nessuno capì mai perché Elena , figlia unica, si fosse suicidata. «Una mamma che la adorava, un boy friend innamorato. Aveva tutto", disse la gente.

mercoledì 7 maggio 2014

Dal suo punto di vista

Ho conosciuto Danila Santagata cinque anni fa. Bionda dentro e fuori, disparata, filtrava la realtà a modo suo, senza insospettirsi. Una donna lieve e sorridente, con bagliori di arguzia in una quotidianità invece indolente. No. Tutto sbagliato. Danila e’ una vera combattente, cade si rialza, la spada la impugna quasi senza parere, ma non la lascia mai, ci dorme anche. Con spada e nemici. La storia raccontata nel suo libro colpisce per il dolore cristallizzato che porta dentro. Scriverne non sembra una catarsi, nemmeno un esorcismo. Daniele dice: “ecco mi e’ successo questo, così e anche così, quelle persone siamo noi e non ci possiamo fare proprio nulla”. 
“Dal suo punto di vista” e’ la storia amara di una donna in lotta per la sopravvivenza, sua e, inconsapevolmente del suo bambino. I sensi di colpa laceranti di Laura, la sua depressione sempre più grave, poi i tentativi di reinserirsi nel mondo del lavoro, una capo, una deputata, tutta tacchi e firme che utilizza la protagonista per passeggiare, lei stessa, liberamente, tra i corridoi spigolosi di Montecitorio. 
C’e’ tutta Danila in questa storia, il suo carattere, le cadute, le fughe, le debolezze assorbite e respinte ad una ad una. Le cose che succedono alle donne. 
Quando questo romanzo è uscito in cartaceo ha avuto un discreto successo, per quanto di successo si possa parlare in casi di piccoli editori e scrittori sconosciuti. Chi lo ha letto l'ha amato, alcuni lo hanno lasciato dopo le prime pagine, durante le presentazioni alle quali l'autrice è stata invitata a partecipare le copie sono risultate sempre insufficienti rispetto alle richieste. Sappiamo tutti del destino di ’non pervenuti’ che hanno nelle librerie le opere ’senza raccomandazione editoriale’. Ovvio che ’Dal suo punto di vista’ non sia facilmente reperibile per le tradizionali vie cartacee. Quindi Danila (che appunto non si arrende mai) lo ha trasformato in ebook, del quale disciplinatamente pubblico il link 
http://www.portalebook.it/narrativa-italiana/185-dal-suo-punto-di-vista.html

 Aspetto adesso la sua nuova avventura. Sempre nei palazzi del potere, che ci sono familiari, racconta al telefono. “Lo sai che mi e’ successo, no? Ora l'ho scritto. Chissà quanti riconosceranno quel politico di cui parlo nel romanzo...”.  Già. Vedremo. 

lunedì 5 maggio 2014

Solo una foto



Sul divano Paola arrotolava pensieri disparati. Le ombre della  giornata finita sdraiate accanto a lei. L'urlo del telefono di casa la meraviglio'. “Chi, a quest'ora? Mia sorella e mia mamma le ho già sentite. Sara’ una di quelle offerte imperdibili tipiche delle ore pasto?”. 
“Pronto? Sei Paola?”. 
“Si. E tu... Sei....?”.
“Livio. Ti ricordi? L'ex fidanzato di Angela...”. 
Paola senti’ il sangue trasformarsi in poltiglia, poi in marmo. Silenzio.
“Ehi, ci sei? Come state tutte e due? Quanti anni sono passati? Dieci? Angela e’ ancora arrabbiata con me perché l'ho lasciata? Certo, un po' malamente, ma ormai mi avrà anche perdonato...”. 
Paola tiro’ un sospirone. Non c’e’ un modo per dirlo. E nemmeno un modo per accettarlo. Dopo tutto quel tempo, il dolore veniva sempre a galla senza invecchiare mai. 
“Angela e’ morta. Cinque anni fa”.
“Come? Davvero? Che le e’ successo”. 
Ripercorrere quei mesi ancora una volta, il malore in vacanza, le analisi, curarsi, non curarsi, soffrire. Da sole. Insieme. In tutti i modi possibili. L'addio. Mai definitivo. Il filo che la legava ad Angela era ancora robusto. Intrecciato di troppi ricordi. 
La voce di Livio vibrava nella cornetta.
“Ma che sta dicendo? Vuole vedermi? E perché? Non eravamo amici, lui Angela non l'ha rispettata mai. Nemmeno ora. Ha saputo che è morta e mi chiede di uscire? Ah, la sua donna lo ha lasciato... Ah, hanno una bambina... Ah, la figlia grande che abbiamo conosciuto noi ha nostalgia di Angela, ma il suo cellulare risultava sempre staccato... Be’, per forza...”.

“No, Livio, non mi sento di vederti. Non c'è ragione. Ho un compagno, va bene così. Vuoi una sua foto? Per tua figlia tanto affezionata? Ma tua figlia nemmeno lo sa che Angela e’ morta... Non lo so, sentiamoci dopo il ponte, io parto”.
Una bugia per prendere tempo e assorbire lo choc. Uno stupore rabbioso l’accompagno’ a dormire. E nella giornata successiva si trasformò in indignazione e vaga inquietudine. Quel Livio non le era mai piaciuto. E riaffiorare cosi’, in disinvoltura, nonostante quelle notizie non le piaceva affatto. 
Lo squillo del telefono, la sera successiva, non la sorprese affatto. Il display mostrava ’quel’ numero. 

“Gli ho detto che partivo. Mi controlla. Perché?”. 
E poi giochi di ombre e di suoni annidati negli angoli più impensati. Un mese così. Lo trovarono i carabinieri.
 Il coltello in mano.
 “Voglio quella foto”.