lunedì 5 maggio 2014

Solo una foto



Sul divano Paola arrotolava pensieri disparati. Le ombre della  giornata finita sdraiate accanto a lei. L'urlo del telefono di casa la meraviglio'. “Chi, a quest'ora? Mia sorella e mia mamma le ho già sentite. Sara’ una di quelle offerte imperdibili tipiche delle ore pasto?”. 
“Pronto? Sei Paola?”. 
“Si. E tu... Sei....?”.
“Livio. Ti ricordi? L'ex fidanzato di Angela...”. 
Paola senti’ il sangue trasformarsi in poltiglia, poi in marmo. Silenzio.
“Ehi, ci sei? Come state tutte e due? Quanti anni sono passati? Dieci? Angela e’ ancora arrabbiata con me perché l'ho lasciata? Certo, un po' malamente, ma ormai mi avrà anche perdonato...”. 
Paola tiro’ un sospirone. Non c’e’ un modo per dirlo. E nemmeno un modo per accettarlo. Dopo tutto quel tempo, il dolore veniva sempre a galla senza invecchiare mai. 
“Angela e’ morta. Cinque anni fa”.
“Come? Davvero? Che le e’ successo”. 
Ripercorrere quei mesi ancora una volta, il malore in vacanza, le analisi, curarsi, non curarsi, soffrire. Da sole. Insieme. In tutti i modi possibili. L'addio. Mai definitivo. Il filo che la legava ad Angela era ancora robusto. Intrecciato di troppi ricordi. 
La voce di Livio vibrava nella cornetta.
“Ma che sta dicendo? Vuole vedermi? E perché? Non eravamo amici, lui Angela non l'ha rispettata mai. Nemmeno ora. Ha saputo che è morta e mi chiede di uscire? Ah, la sua donna lo ha lasciato... Ah, hanno una bambina... Ah, la figlia grande che abbiamo conosciuto noi ha nostalgia di Angela, ma il suo cellulare risultava sempre staccato... Be’, per forza...”.

“No, Livio, non mi sento di vederti. Non c'è ragione. Ho un compagno, va bene così. Vuoi una sua foto? Per tua figlia tanto affezionata? Ma tua figlia nemmeno lo sa che Angela e’ morta... Non lo so, sentiamoci dopo il ponte, io parto”.
Una bugia per prendere tempo e assorbire lo choc. Uno stupore rabbioso l’accompagno’ a dormire. E nella giornata successiva si trasformò in indignazione e vaga inquietudine. Quel Livio non le era mai piaciuto. E riaffiorare cosi’, in disinvoltura, nonostante quelle notizie non le piaceva affatto. 
Lo squillo del telefono, la sera successiva, non la sorprese affatto. Il display mostrava ’quel’ numero. 

“Gli ho detto che partivo. Mi controlla. Perché?”. 
E poi giochi di ombre e di suoni annidati negli angoli più impensati. Un mese così. Lo trovarono i carabinieri.
 Il coltello in mano.
 “Voglio quella foto”. 

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